venerdì 2 settembre 2016

Ohhhhh! Primo poi dovevo tornare a scrivere. E quale argomento migliore del fertility day per farlo?! E quale luogo migliore se non questo?!
Premetto che le immagini e gli slogan di questa campagna li trovo tremendi (quale pubblicitario folle o imbecille può averli ideati? !). Ciò detto, se non mi piacciono gli slogan di questa campagna, ancor meno mi piacciono i contro slogan ad effetto fatti solo per fare polemica o attirare like su fb.
Io credo che questa campagna sia scomoda perché ci pone davanti a delle verità e ai nostri limiti.
Sono assolutamente convinta che per arrivare a fare una campagna del genere la situazione dev'essere veramente grave. D'altronde è vero, è un'evidenza che i figli vengono fatti sempre più tardi e ovviamente sempre con più difficoltà i concepimenti sono spontanei. Il pensiero è lungo, articolato, complicato, e tocca molteplici tematiche.
C'è un tema che però mi sembra sia stato silente da tutte le parti di questa campagna, che è il rapporto con l'altro. L'altro inteso il marito o il compagno, l'altro inteso come qualcuno che non sono io.
Quello che a mio avviso sta evidenziando il dibattito scaturitene è l'egoismo dell'essere umano della nostra società : io mi basto da solo (o da sola in questo caso). Ma non si può parlare di figli (i figli di cui si dibatte, quelli pensati, desiderati, voluti), senza parlare di famiglia.In tutta questa storia del fertility day la vera assente è la famiglia. Il rapporto di coppia, quell'unione che porta a desiderare il per sempre, quell'unione da cui scaturisce il desiderio di dare la vita per un altro, nessuno lo ha nominato. E quindi fare un figlio sembra una cosa impersonale da decidere e programmare a tavolino. Come mi ricorda un'amica fare un figlio è qualcosa di molto più complesso. È solo dentro una relazione così profonda che si può arrivare a desiderare quello che sembra una follia : notti insonni, cambiare pannolini, ingrassare, partorire. Se io non avessi incontrato mio marito, se non avessimo deciso di sposarci e posare la prima pietra di questa famiglia, mai e poi mai avrei desiderato un figlio a 21 anni. Perché il solo richiamo biologico non sarebbe bastato a farmi mettere da parte il lavoro, i viaggi, i sogni che avevo nel cassetto. Magari più avanti.....magari dopo......
E poi ci sono i rapporti con gli altri, con la collettività, con lo stato con la famiglia d'origine. Da più parti ho letto del problema dell'indipendenza assoluta e completa. Metto due riflessioni sul piatto che poi in realtà appartengono tutte al problema dell'indipendenza: 1) laddove possibile, da che mondo e mondo, i nonni hanno aiutato a crescere i nipoti o addirittura a comprare casa, mentre oggi se ti fai aiutare sembri uno sfigato che non se la sa cavare da solo 2) non vogliamo l'aiuto dei nonni in nome dell'indipendenza ma pretendiamo l'aiuto dello stato. ...a me pare che nemmeno così siamo indipendenti. È altresì vero che non tutti hanno i nonni in grado di occuparsi dei nipoti o di aiutare nell'acquisto di una casa. In generale mi viene da pensare, comunque, che forse questa storia dell'indipendenza completa è un po una fregatura. Forse siamo diventati troppo altezzosi e pretendiamo di bastarci da noi. Forse l'uomo è fatto di relazioni e dentro questo si inserisce il concetto di aiuto e sostegno reciproco. Detto questo, ribadisco che questa campagna non mi piace nei modi.
E aggiungo: si, fare un figlio è un sacrificio e tutto nella vita non si può avere. Però, come io mi sento dire che un'esperienza all'estero a me manca o che il mio tempo di studio è inferiore ad altri, così voi, lasciate dire che fare un figlio, anzi, più di un figlio in età giovane è meglio che aspettare i 35 anni. Nessuno è migliore di nessuno, ma le verità si possono dire e ascoltare senza offendersi (anche perché non capisco perché una donna dovrebbe offendersi).
Ah, io di immagine metto questa, altro che clessidre e ombre